martedì 9 luglio 2013

Salicea e Nar



Perché questo pegno di sangue...?
Salicea continuava a ripeterselo disperandosi sempre di piú. La visione era chiara. Sapeva bene a cosa stava andando incontro Nar.
La disperazione si tramutò in determinazione. Si asciugó il viso e corse fuori, cercó un cavallo nel villaggio e  rubó il primo che vide.
'Moriró io al suo posto!'

Cercó una scorciatoia ad est, attraverso il bosco oscuro. Mentre luci del giorno si affievolivano sempre di più, le voci e i rumori inquietanti aumentavano, provenivano da ogni dove, ma non fermavano la sua corsa.

Sapeva qual era il punto prestabilito; uno specchio d'acqua sotto il grande albero maledetto.
In quel luogo si sarebbe svolto il sacrificio. Le anime nere reclamavano la loro ricompensa di sangue.


Arrivò sul posto. Era sera. La luna era particolarmente piena e luminosa e donava generosa i suoi argentei raggi.
Nar non era ancora arrivato. Ne  approfittó per avvicinarsi verso l'albero, ben nascosta dal cappuccio e dal mantello nero.

”Vieni....avvicinati...vieni a noi...” delle voci  ultraterrene richiamavano la nuova piccola presenza.

Salicea era tanto impaurita quanto consapevole che non c'erano alternative.
A piccoli passi si avvicinò. Stava cominciando a immergersi quando improvvisamente si sentì strattonare:
 ” Cosa fai in questo luogo maledetto???” - Le urlò Nar - ”Cosa vuoi fare??? Fermati. Devi andare via da qui subito! Via...VIA!!!”
”Non posso lasciarti andare...non posso... non puoi andare..Non puoi.....NON PUOI!!!"

L'uomo vide i suoi occhi, quei bellissimi occhi che aveva amato fin dal primo momento che i loro sguardi si erano incrociati. Quegli immensi, chiari lucidi occhi che ora lo fissavano atterriti.
Ma non guardavano lui, ma il futuro compiersi disastrosamente alle sue spalle, davanti ai suoi occhi.

"...Ti prego, ti prego....Non farlo...." stavolta con tono rassegnato mentre nell'attesa della risposta, le lacrime le rigavano il tenero volto squarciato dalla disperazione.
Senza dire una parola, con gli occhi lucidi e labbra strette la fissò per un attimo che sembrò eterno.
”Mi dispiace amore mio....mi dispiace...” Disse quasi sussurrando, accarezzandole il viso, poi la allontanó di forza spingendola via, facendola arretrare diversi passi, cadendo a terra.
Rimase per diversi minuti stordita, ma riuscì ad udire un rumore netto. Un tuffo.
Quando si riprese, sentì tutti i suoi arti indolenziti appesantiti dal dolore infinito.
Continuava a piangere lamentandosi. Con le ultime forze trascinandosi raggiunse la riva.
In modo straziante, la fanciulla piangeva, urlava il nome dell'amato, nessuno poteva piú risponderle.
Le lacrime continuavano a uscire copiose. Tese una mano verso l'acqua e la immerse come per strappare qualcosa da essa. 
Urlò l'anima, tanto da farsela uscire fuori. 
Si era davvero strappata l'anima e con essa il cuore, il sangue, la vita. 
Il suo corpo vuoto tra sangue, terra e acqua.  
Con i capelli e le braccia protese verso il laghetto, la mano immersa ora accarezzava l'acqua. Quell'acqua che avvolgeva il suo amato.

All'alba, i tenui bagliori pesca e azzurro abbracciarono una nuova scena.
Le lacrime purificarono le acque del lago che divennero limpide e calme. Il sangue purificò la terra e l'albero, il paesaggio divenne un tripudio di bellezza e amore.
La terra e l'albero mosse a nuova bontà e compassione, avvolsero il corpo della giovane donna; le braccia divennero rami, i lunghi capelli bagnati dalle lacrime divennero una chioma di foglie che amorevolmente ondeggiava sul lago accarezzandolo, ed esso rispondeva con mille increspature.

E fu così che nacque il salice piangente, l'albero che piange la sua triste storia e accarezza il suo amore avvolto dall'acqua e dalla terra. Si dice che quando il vento scuote le sue rigogliose fluenti chiome, si ode la musica melodiosa delle carezze degli amanti ritrovati.


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